Fase 2 della pandemia; la tecnologia può rappresentare il punto zero di un nuovo inizio per le professioni?

Abstract:
Le professioni ed il loro evolversi all’interno della società e di una dimensione economica in rapido cambiamento. Il passaggio da una interpretazione conservativa e corporativa del ruolo delle professioni ad uno strumento di supporto e sviluppo al mondo produttivo. La crisi economica e la necessità di una nuova strategia che punti alla innovazione dei processi del lavoro, delle collaborazioni e della leadership. La tecnologia come punto zero per un nuovo inizio per le professioni nel terzo millennio.

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Per professione si intende una attività caratterizzata da una competenza tecnica specifica, acquisita per il tramite di una formazione qualificata e precipua, accompagnata da regole di esercizio della attività contenute in codici deontologici.
Già Max Weber, nell’individuarne la funzione nella società , descriveva le professioni come il tramite di un passaggio ad un ordine sociale “moderno” dove gli elementi caratterizzanti erano rappresentati da competenza e specializzazione.
Nel corso del XX secolo le professioni hanno visto trasformazioni economiche e normative che ne hanno modificato la natura intrinseca e che sono state vissute, dalla maggior parte dei protagonisti, con forte resistenza anziché come possibile risorsa.
Ci si è ancorati alla struttura ed alla visione tradizionale di professione, in particolare quella ordinistica, quale “porto sicuro” di fronte alle tempeste del cambiamento, non volendo comprendere che ci troviamo in un momento di passaggio verso il compimento della società post-industriale.
La legge n. ro 4 del 2013 ha disciplinato e riconosciuto le “nuove professioni” non ordinistiche inserite in una visione di una maggiore liberalizzazione del mercato, già iniziata con le riforme delle professioni ordinistiche degli anni 2011/ 2012.
Abolizione delle tariffe obbligatorie, introduzione delle società professionali con socio di capitale, obbligo di formazione permanente e riduzione del tirocinio per l’accesso alla professione.
In Europa , già la raccomandazione 2003/361/CE qualifica impresa “ ogni entità a prescindere dalla forma giuridica rivestita , che eserciti una attività economica ”e tra queste sono ricomprese anche le attività professionali di cui la Corte di Giustizia nel 2011 fornisce una definizione precisa : “ attività che presentano un pronunciato carattere intellettuale, richiedono qualificazione a livello elevato , sono soggette, di norma, ad una precisa e rigorosa disciplina .. l’elemento personale assume rilevanza particolare e si presuppone notevole autonomia”.
In Italia arriviamo ad equiparare tutti i lavoratori autonomi alle piccole e medie imprese con la L. 81 del 2017, che disciplina il “lavoro autonomo non imprenditoriale“ il così detto job acts autonomi, ai fini dell’accesso ai fondi comunitari ed agli appalti pubblici.
Tuttavia, queste possibilità che si sono aperte mostrando un orizzonte molto più ampio e “ globale” per lo sviluppo delle attività professionali, paiono trascurate sia dai principali interpreti che dalle istituzioni .
A differenza di un periodo d’oro delle professioni che possiamo situare negli anni ‘’80 del secolo scorso, oggi vi è una forte sottovalutazione dello stesso principio contenuto nell’art 35 della Costituzione : “ La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” .
Il lavoro non è solo espressione del dualismo impresa/ lavoratore dipendente, ma vi è un terzo tipo di lavoro, quello intellettuale, con caratteristiche proprie, con competenze anche di valore e responsabilità sociale.
Di questo occorre prendere coscienza ed anche le Istituzioni devono comprendere come un settore della economia che muove il 21% del PIL nazionale non può essere trascurato anche in termini di politiche di sviluppo e sostegno.
Con la crisi economica del 2008 le professioni, in particolare quelle ordinistiche, hanno subito una forte scossa. Si è cominciata ad allargare la forbice tra una larga parte di soggetti con entrate fisse in quanto di fatto mono- committenti e studi di maggiori dimensioni e più organizzati che hanno aumentato il proprio peso economico rispetto al mercato dei servizi intellettuali.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, la pandemia Covid 19 che si è imposta su di una situazione già complessa e di diffusa problematicità.
Le misure economiche a sostegno delle professioni sono state abbastanza timide; estensione di alcuni provvedimenti a sostegno delle PMI ,come la rinegoziazione dei mutuo prima casa o l’accesso al credito garantito, 600 euro per due mesi per i lavoratori autonomi ,ordinistici e non, entro un limite di reddito.
Il grosso tema è che i professionisti sono stati esclusi dai contributi a fondo perduto che potrebbero avere un apporto incisivo sulla vita di molti studi in reale difficoltà.
Vi è poca sensibilità istituzionale sul lavoro “autonomo” ,che non viene compreso nella sua funzione di volano economico e sociale.
Lo shock, causato dalla pandemia globale, ha impattato ed impatterà fortemente sulla struttura dei servizi professionali. Tuttavia, questa forte scossa, ha portato e porterà elementi di accelerazione di una trasformazione non solo economica ma, anche, normativa, tecnologica e della concorrenza.
I professionisti dovranno lasciarsi alle spalle una visione conservativa legata a parametri dello scorso secolo che non può più essere valido modello, ascoltare la richiesta del proprio settore, dei propri clienti e del proprio mercato per trovare la strada su cui indirizzare un nuovo percorso.
Certo, gli stringenti bisogni economici non consentono di avere la necessaria lucidità e per questo è opportuno un intervento di sostegno pubblico.
Ma è lavorando su di sé e sulle modalità di esercizio della propria professione che si potrà dare vita ad un rinascimento effettivo.
Lavorare su di sé; questo è il grande tema da affrontare. I professionisti faticano a comprendere, perché non fa parte della loro formazione tradizionale, che non è più sufficiente una salda preparazione tecnica per affrontare il nuovo mercato e le richieste dei clienti. Diviene importante comprendere se e quale capacità di leadership si è in grado di esprimere, se si riesce a sviluppare capacità di ascolto dei bisogni dei soggetti con cui si relazionano e quindi, collaboratori, dipendenti, colleghi, clienti se si è in grado di costruire e guidare un team. Per fare questo occorre una formazione specifica alla auto-imprenditorialità, arricchendo il proprio bagaglio anche di quelle “competenze trasversali” di cui non si può più fare a meno.
Una volta accresciuto il proprio bagaglio di competenze, i professionisti che operano, in particolare, a servizio delle imprese, ma anche dei privati, riusciranno ad assicurare più efficienza ed organizzazione sia nello svolgimento del proprio lavoro che nei rapporti verso l’esterno oltre che più servizi a favore del cliente e per farlo la tecnologia sarà uno degli elementi chiave.
I professionisti saranno i veri protagonisti della Gigabit Society; una iper connessione destinata a incidere fortemente sulla produzione ed i servizi e comporterà una forte riduzione dei tempi tra domanda e risposta.
La richiesta di incrementazione di produttività ed efficienza del servizio si affiancherà ad una richiesta anche valoriale. Anche per questo l’intelligenza emotiva dovrà affiancarsi alle skills tecniche.
La capacità di utilizzare la tecnologia per aumentare le prestazioni, sarà determinante.
La crisi ci ha fatto comprendere che l’utilizzo gestito della tecnologia è possibile (si pensi all’aumento esponenziale dell’uso del lavoro da remoto, forzato dal lockdown ma che ha squarciato il velo sulla possibilità di attuarlo in tempi molto brevi sia pure informa atipica) ed anzi, sempre più utile e necessario.
Il Coronavirus ha portato ad un momentaneo livellamento della economia. Molte aziende e studi professionali faticheranno a riprendersi e la pressione è forte.
A tutti i livelli, grandi, medi, piccoli studi, sarà necessario cambiare gli obiettivi strategici.
Si dovranno costituire team di lavoro specializzati, aggregarsi anche informalmente in reti che sviluppino progetti verticalizzati dove il talento di ciascuno, unitamente alla competenza specialistica, si integrerà /coordinerà, con il lavorio dell’altro.
Ed in questa visione, la tecnologia avrà un ruolo determinante.
Il lavoro a distanza, con la condivisione in cloud dei documenti con i collaboratori, i colleghi i clienti, comporterà maggiore sostenibilità economica, minori spostamenti ma maggiore interconnessione diretta.
L’utilizzo e lo sviluppo di nuove tecnologie, il riconoscimento vocale, la robotica, la intelligenza artificiale, comporteranno uno spostamento di posti di lavoro.
Si perderanno le attività ripetitive, seriali, che saranno sostituite dalle macchine, ma aumenteranno altre tipologie di lavoro, più creativo, costruito su obiettivi.
Gli studi dovranno, quindi, spostare la propria offerta dai servizi di base, che verranno presto deviati sulle piattaforme tecnologiche, a servizi sempre più specializzati.
A ciò, si dovranno affiancare competenze trasversali che derivino da una formazione alla autoimprenditorialità a supporto delle hard skills.
Siamo ad un punto zero per un nuovo inizio. La crisi repentina ci ha fatto comprendere che non potremo più tornare indietro, che ci dobbiamo dotare di soluzioni tecnologiche adeguate ad un ruolo che andrà interpretato sulla base della trasformazione digitale che è alla portata di Tutti ma che comporta un cambio culturale nell’interpretare il ruolo fondamentale delle professioni nel terzo millennio.

Note bibliografiche

M. Weber “Il Lavoro intellettuale come professione” Saggi Mondadori 2018

G.P. Prandstraller “Sociologia delle professioni” Milano 1980 Politecnico di Milano “osservatori professionisti ed innovazione digitale” www.osservatori.net

E. Spaltro “La forza di fare le cose” Edizioni Pendragon Bologna 2003

11 luglio 2020